Una fiaba al giorno toglie la noia di torno

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Questa fiaba arriva direttamente dalla Cina per raccontarci come si sono formate le 24 spiagge Wangniang

WangnianMolti anni fa, la pianura occidentale del Sichuan conobbe una siccità così grave che gli alberi morivano, i giovani virgulti ingiallivano, le risaie si spaccavano, i laghi mostravano il loro fondo e i raggi di un sole rosso fuoco brillavano ogni giorno sulla terra.
In un piccolo villaggio, al bordo di una rapida, abitava una famiglia. La madre, che si chiamava Madre Nie, aveva più di quarant’anni e suo figlio Nie Lang ne aveva quattordici. Essi affittavano un campo, ma i pochi dou di cereali che restavano non erano sufficienti, dopo aver pagato l’affitto restava poco: Nie Lang doveva andare a raccogliere la legna per il fuoco e delle erbe per venderle; molto sincero, laborioso e saggio, era sempre pronto ad aiutare i vicini. Se la intendeva bene con i bambini del villaggio e il suo migliore amico si chiamava Changsheng.
Un giorno, al primo canto del gallo, egli andò come sempre, con la gerla sulla schiena, a tagliare delle erbe col falcetto. Salendo verso la Cima del Drago Rosso, pensava: « Il mio amico Changsheng mi ha detto ieri che Zhou il Riccone chiede delle erbe per nutrire il suo cavallo, bisogna che ne tagli di più per vendergliele». Preso da questi pensieri, senza accorgersene, Nie Lang aveva oltrepassato la Cima del Drago Rosso.

Nel Fossato del Drago alla base della montagna, in primavera si era avuta abbondanza di pesci e gamberetti, e di erbe sulle sue rive. Ma il luogo adesso non era altro che pietrisco. Nie Lang emise un sospiro, e pensava di andare altrove, quando vide improvvisamente una figura bianca dietro il tempio tutelare. Molto stupito, disse: « Oh! Una lepre bianca!»
All’idea che la lepre mangia l’erba tenera, egli la seguì non si sa per quanti li. Arrivata al fondo della valle, la lepre scomparve. Ma Nie Lang scoprì là un ciuffo di verzura, e tutto contento, ne tagliò un cesto pieno.
Cosa estremamente bizzarra, l’indomani le erbe erano ricresciute. Egli andò dunque a tagliarle due giorni di seguito. Poi pensò: «Sarebbe meglio che le strappassi e le piantassi dietro casa mia, invece di correre ogni volta come un coniglio per una dozzina di li». Si affrettò a scavare la terra e strappò le erbe. Ora, stava per rialzarsi quando vide una pozza d’acqua, sulla cui superficie brillava una perla. Nie Lang la prese, tutto felice, la mise prudentemente in grembo e tornò a casa, con la sua gerla di erbe sulla schiena.
Al suo arrivo a casa, il sole stava già tramontando dietro la montagna. Mamma Nie stava preparando la zuppa di mais. Alla vista del suo ragazzo, si lamentò amaramente:
– Perché rientri così tardi?
Nie Lang le raccontò la sua avventura e tirò fuori la perla. Improvvisamente, tutta la casa fu illuminata da un bagliore così accecante che non si poteva tenere gli occhi aperti. La madre si affrettò a dirgli di nasconderla nel vaso del riso. Dopo cena, Nie Lang piantò le erbe dietro casa, vicino a un boschetto di bambù.
Il giorno dopo, si alzò prestissimo e corse a dare un’occhiata alle sue piantagioni. Ahimè, le erbe erano tutte secche. Rientrò a casa per vedere se la perla era ancora là. Appena aperto il coperchio del vaso, gridò meravigliato:
– Madre, presto, venite a vedere!

Il vaso era pieno di riso, e sopra c’era ancora la perla. Capirono che era una perla magica, poiché, da allora, se la si posava nel vaso del riso, il riso aumentava, e se la si metteva su dell’argento, l’argento si moltiplicava. Alla famiglia non mancavano ormai né vestiti né cibo. Quando i vicini non avevano di che mangiare, Mamma Nie diceva a suo figlio di portar loro del riso. Anche lui povero, Nie Lang voleva ben aiutare i vicini in difficoltà. La notizia si sparse in fretta. Quando la seppe, Zhou il Riccone, un signorotto dispotico del villaggio, disse al suo intendente:
– Bisogna cercare con tutti i mezzi di impadronirci di questa perla!
– Signore, disse l’intendente, la famiglia Nie è povera, sarà facile comperarla con una bella sommetta.
Ma poiché Nie Lang era certamente troppo intelligente per lasciarsi ingannare, Zhou e il suo intendente concepirono un piano oscuro: l’intendente sarebbe andato con quattro servi a saccheggiare la casa dei Nie, con il pretesto che Nie Lang aveva rubato la perla preziosa della famiglia Zhou tramandata dai suoi antenati. Se Nie Lang non avesse dato la perla, lo si sarebbe incatenato e condotto in prefettura.

Quando Changsheng, guardiano dei cavalli di casa Zhou, venne a conoscenza del complotto, uscì di nascosto e andò ad informare Nie Lang affinché fuggisse immediatamente con sua madre. Madre e figlio erano tutti indaffarati nei loro preparativi per la partenza quando l’intendente di Zhou li fermò subdolamente davanti alla porta.
– Ridatemi immediatamente, gridò, la perla magica del mio padrone o siete morti tutti e due!
A quelle parole, Nie Lang si arrabbiò e disse puntando l’indice sull’intendente:
– Tu non sai che malmenare i poveri appoggiandoti a Zhou il Riccone. Con quale prova mi accusi di furto?
Senza prendersi pena di rispondergli, l’intendente ordinò ai servi di frugare in casa ma non si trovò nulla. L’intendente sgranò gli occhi e disse di perquisire Nie Lang che, immediatamente, inghiottì la perla.
– È finita, finita! Nie Lang ha inghiottito la perla, la perla è nella sua pancia! Gridarono i domestici.
– Picchiatelo! urlò l’intendente.
Sotto i calci e i pugni, Nie Lang svenne. Fortunamente, alcuni vicini riuscirono a scacciare l’intendente e i servi; quindi portarono Nie Lang dentro casa e curarono le sue ferite.

Mamma Nie, seduta vicino al letto, vigilava su suo figlio, con le lacrime agli occhi.
A mezzanotte passata, Nie Lang si svegliò improvvisamente e disse ad alta voce:
– Che sete! Voglio bere dell’acqua!
Vedendo che suo figlio aveva ripreso conoscenza, Mamma Nie, felicissima, si affrettò a dargli una ciotola d’acqua. Nie Lang la vuotò in un attimo e ne chiese ancora un’altra. Molto impaziente, si mise a pancia in giù sull’orlo del grande orcio e ne bevve tutta l’acqua. Sua madre tremava per la paura.
– Figlio mio, è terrificante vederti bere così tanta acqua!
– Mamma, il mio cuore soffre come se fosse arso da un fuoco violento! Voglio bere ancora, mamma!
– Non c’è più acqua nel nostro orcio!
– Voglio andare a bere nella rapida!
Un lampo squarciò il cielo e illuminò tutta la casa, seguito dal fragore del tuono. Nie Lang saltò per terra e corse fuori. Sua madre si precipitò per rincorrerlo, ma più lei correva, più aumentava la sua paura. Poco tempo dopo, apparve davanti a loro un fiume, simile a un lungo nastro grigio. Come posseduto, Nie Lang si gettò in riva al fiume e bevve gloglottando.

I lampi e i tuoni si succedevano. In un batter d’occhio, Nie Lang aveva prosciugato metà dell’acqua del fiume. Tirando per i piedi con tutta la sua forza, la madre gridò:
– Che cosa ti sta succendendo, figlio mio?
Nie Lang si voltò, si era trasformato: si vedevano due corna sulla testa, dei peli blu attorno alla bocca e delle scaglie rosse sul collo.
– Lasciate la presa, mamma, voglio essere un drago per vendicarmi di quest’odio così immenso e profondo quanto il mare!
Sotto i tuoni e i lampi, l’acqua salì rapidamente nel fiume con delle onde tumultuose, e sconvolse il silenzio dell’immensa terra.
Zhou il Riccone in persona arrivò giusto in quel momento, conducendo i suoi servitori che brandivano delle torce, con l’intenzione di aprire il ventre di Nie Lang e prendersi la perla.
Udendo questo vocìo, Nie Lang indovinò che c’erano della persone e disse:
– Lasciatemi, mamma, voglio vendicarmi!
Scrollandosi con tutte le sue forze, si rotolò nel fiume e fece scaturire delle onde alte sino al cielo.
– Vecchia, dov’è andato tuo figlio?, gridò Zhou afferrando Mamma Nie per le spalle.
– Che delinquente sei, Zhou! Insegui mio figlio sino al fiume. Non ti è sufficiente? Nie Lang,- urlò,- il tuo nemico è arrivato!
Con un calcio, Zhou il Riccone gettò Mamma Nie per terra, e corse in riva al fiume per cercare Nie Lang. Seguita da un lampo rosso e nel fracasso del tuono, un’onda, scatenata come un cavallo al galoppo, trascinò tra i suoi flutti Zhou il Riccone, il suo intendente e tutti i suoi servi, inghiottendoli sino all’ultimo.
Il vento si calmò e la pioggia smise di cadere. Il cielo si rasserenò poco a poco. Nie Lang levò la testa e chiamò dal fiume:
– Mamma, sto per partire!
– Figlio mio! Quando ritornerai? domandò Mamma Nie, afflitta.
– Poichè il mondo umano e il mare si separano, io non tornerò fino a quando le rocce non sbocceranno come fiori e ai cavalli non spunteranno delle corna.

Avendo la triste convinzione che suo figlio non sarebbe mai più tornato, Mamma Nie, in piedi su una grande roccia, gridava incessantemente:
«Figlio mio! Figlio mio!…»
Ai richiami della sua amata madre, Nie Lang volgeva più in alto la testa per vederla.
Ventiquattro volte lei lo chiamò e ventiquattro volte egli alzò la testa. Ad ogni saluto del figlio, comparve una spiaggia. Ne comparvero ventiquattro che più tardi furono chiamate le «Spiagge che guardano la madre», in cinese Spiagge Wangniang.


Quella che vi propongo oggi, è la storia di un giovane pescatore giapponese che salvò la vita di una piccola tartaruga…

biblidcon_067i02C’era una volta una rispettabile coppia di anziani che vivevano sulla costa, e per vivere facevano i pescatori. Avevano solo un figlio, un maschio, che era per loro gioia e orgoglio; per amor suo erano disposti ai più duri sacrifici, senza sentirsi mai stanchi o scontenti della loro vita. Questo figlio si chiamava Urashima Taro, che in giapponese significa «Figlio dell’Isola», ed era ormai un bel giovanotto venuto su bene, e un buon pescatore, che non si fermava mai, né dal vento, né dalle intemperie. Neanche il più coraggioso dei marinai in tutto il villaggio osava sfidare l’avventura spingendosi tanto al largo quanto Urashima Taro, e infatti, molte volte la gente del villaggio aveva l’abitudine di fare cenni di disapprovazione, dicendo ai suoi genitori: “Se vostro figlio continuerà ad essere così imprudente quando va per mare, e se continuerà a sfidare la fortuna in questo modo, prima o poi le onde finiranno per inghiottirlo.” Ma Urashima Taro non badava a quei commenti, e siccome era molto esperto e in gamba nel guidare la sua barca, i suoi genitori raramente si preoccupavano per lui.

Una luminosa mattina, nel tirare su le reti colme di pesci, vide in mezzo a loro una piccola tartaruga. Fu sorpreso e deliziato dalla sua bellezza, così la gettò su un vascello di legno per portarsela a casa, quando improvvisamente la tartarughina sentì la sua voce, e, tutta tremante, lo pregò di lasciarla andare. “In fondo,” disse, “cosa posso fare di buono io per te? Sono ancora così piccola e giovane, che vorrei vivere ancora un pò. Ti prego, abbi pietà di me e lasciami andare, vedrai che saprò dimostrarti la mia gratitudine.” Urashimataro era buono e gentile, e inoltre, non avrebbe mai potuto dire di no, così, riprese in mano la tartaruga e la rimise in acqua.

Passarono alcuni anni, e come ogni mattina, Urashima Taro salpava con la sua barca diretto verso il mare profondo. Ma un giorno, mentre stava cercando di raggiungere una piccola baia tra gli scogli, si alzò una tromba d’aria che mandò in frantumi la barca, e fu risucchiata dalle onde. Urashima Taro stava per fare la stessa fine, ma per sua fortuna era un ottimo nuotatore, e riuscì fortunosamente a raggiungere la riva. Allora vide un’enorme tartaruga venirgli incontro, e da sopra la furia della tempesta, sentì qualcuno dire: “Io sono la tartaruga che tu salvasti, e ora vengo per ripagare il mio debito e mostrarti la mia gratitudine. Vedi la terraferma laggiù? E’ troppo distante per te, e senza il mio aiuto non ci arriveresti mai, perciò, salimi in groppa, e io ti ci porterò.” Urashimataro non se lo fece ripetere due volte, ringraziò e accettò senza esitare. Ma appena ebbe raggiunto la spiaggia, la tartaruga gli propose di non tornare più indietro, ma di seguirlo nelle profondità del mare, per vedere le meraviglie che si nascondevano laggiù. Il giovane accettò volentieri, e in un attimo i due si trovarono nelle profondità del mare, a metri di distanza dalla superficie. Oh, quanto velocemente essi dardeggiavano tra le quiete e caldi acquee! Urashimataro si tenne stretto, chiedendosi dove stavano andando e quanto fosse lungo il cammino, e per tre giorni viaggiarono incessantemente negli abissi del mare, finché finalmente la tartaruga si arrestò davanti a uno splendido palazzo, che scintillava d’oro e d’argento, cristallo e altre pietre preziose; si fermarono lì, e lì c’erano grosse quantità di corallo rosa pallido e perle splendenti. Tuttavia Urashima Taro era impressionato dalla bellezza del luogo, ed era rimasto senza parole davanti all’ ingresso del palazzo, che era illuminato dalle scale scintillanti. “Dove mi hai portato?” chiese alla sua guida a voce bassa. “Al palazzo di Ringu, la dimora del dio del mare, dal quale tutte le nostre vite dipendono” disse la tartaruga. “Io sono la prima damigella di sua figlia, l’adorabile principessa Otohime, che vedrai tra poco.” Urashima Taro era molto confuso da questa avventura che gli era capitata, che aspettò in uno stato di completo sbalordimento, di sapere cosa sarebbe accaduto di lì a poco. Ma la tartaruga, che aveva parlato così tanto di lui alla principessa, da farle desiderare ardentemente di conoscerlo, saputo che egli si trovava lì, andò subito ad accoglierlo. E subito la principessa capì che il suo cuore era tutto per lui, così, lo pregò di restare con lei, ed in cambio promise che non sarebbe mai invecchiato, e la sua bellezza non sarebbe mai svanita. “Questo non ti basta?” chiese ella, sorridente, con lo sguardo radioso come il sole; Urashima Taro rispose di sì, e rimase lì. Per quanto? Questo lo avrebbe saputo solo più tardi.

Da quel momento trascorse lì la sua vita, e ad ogni ora  si sentiva più felice che mai, finché un giorno fu assalito da una terribile nostalgia di casa. Cercò di combattere questo sentimento, pensando a quanto avrebbe addolorato la principessa, ma la nostalgia si fece sempre più forte, da non poterla più nascondere, e allora la principessa, vedendolo così triste, gli chiese cosa non andasse. Allora egli si confidò, dicendo che desiderava rivedere ancora una volta i suoi genitori. Fu una risposta che la agghiacciò di terrore, e lo implorò di non lasciarla, e che, se l’avesse fatto, ne era sicura, qualcosa di terribile sarebbe accaduto. “Tu non tornerai più, e noi non ci rivedremo mai più” gemette tristemente; ma Urashima Taro rimase tranquillo e ripeté: “Ti lascerò solo per questa volta, e poi ritornerò per sempre.” La principessa scosse la testa tristemente, ma rispose: “C’è solo un modo per riportarti qui al sicuro, ma temo che non accetterai mai le condizioni.” “Farò tutto ciò che vuoi per tornare da te” esclamò il giovane, guardandola teneramente, ma la principessa rimase in silenzio: lei sapeva troppo bene che se l’avesse lasciato andare, non l’avrebbe mai più rivisto. Allora prese da uno scaffale una piccola scatola d’oro e la diede a Urashimataro, pregandolo di custodirla gelosamente, e sopratutto, di non aprirla mai. “Se farai come ti dico” disse, dicendogli addio, “la tua amica fedele, la tartaruga, ti riaccompagnerà in superficie, e poi ti ricondurrà da me.” Urashimataro ringraziò dal profondo del cuore, e giurò solennemente che avrebbe rispettato i patti. Custodì gelosamente la scatolina nei suoi vestiti, salì in groppa alla tartaruga, e svanì nell’oceano, salutando la principessa con la mano. Navigarono tre giorni e tre notti, e al mattino del quarto giorno Urashima Taro arrivò alla spiaggia vicino a casa sua. La tartaruga lo salutò e se ne andò.

Urashima Taro si affrettò con passi gioiosi verso il villaggio. Vide i comignoli fumare e grandi piante verdi alte e rigogliose. Sentì le urla dei bambini, e passando davanti a una finestra udì il suono del koto = (strumento giapponese a corde), e nel complesso, tutto sembrava dargli il bentornato. Improvvisamente sentì un tuffo al cuore mentre vagava per la via: tutto sembrava cambiato, e non riconosceva nessuna delle case e delle persone a lui familiari. Di lì a poco vide la sua vecchia casa; sì, era ancora in piedi, ma aveva un aspetto strano. Bussò ansiosamente alla porta, e chiese alla donna che aprì notizie dei suoi genitori, ma ella non ne sapeva niente e non poté dargli alcuna notizia. Preoccupatissimo, si precipitò al giardino per sapere ciò che necessitava di sapere, cioè, se mai i suoi genitori si trovassero sepolti lì, e purtroppo, aveva ragione. Presto fu davanti alle tombe di loro, e la data della loro morte corrispondeva al giorno in cui essi avevano perso il loro figlio: il giorno in cui egli rinunciò a loro per restare con la figlia del dio del mare. Scoprì in questo modo che ben tre lunghi anni erano trascorsi da quando aveva lasciato casa sua. Tremante alla vista della scoperta appena fatta, ritornò verso il villaggio, sperando di incontrare qualcuno che lo riconoscesse e che potesse dargli qualche informazione sugli eventi passati. Quando un uomo parlò, realizzò che non stava purtroppo sognando, e all’improvviso si sentì svenire. Disperato, si ricordò della famosa scatolina che gli aveva donato la principessa; forse, dopo tutto, quei fatti non erano veri, e forse era vittima di qualche maledizione, e forse nelle sue mani poteva esserci l’antidoto. Quasi incoscientemente aprì la scatola, e un vapore color porpora fuoriuscì; tenne la scatola tra le mani, e guardando dentro, vide che la fresca e giovane mano si era improvvisamente tramutata in quella di un vecchio. Corse verso il ruscello, che sgorgava limpido dalla montagna, e specchiandosi nell’acqua vide la sua immagine riflessa, ed era l’immagine di una mummia che guardava verso di lui. Spaventato a morte, fece ritorno al villaggio, e nessun uomo né donna riconobbe in lui il giovane e forte pescatore che aveva fatto ritorno solo un’ora prima.

Si trascinò stancamente verso la riva, e lì sedette tristemente su una roccia, chiamando a gran voce la tartaruga, la quale però non tornò mai più. In compenso, la morte venne presto a liberarlo.

Egli non lo sapeva, ma prima che ciò accadesse, alcune persone che lo avevano visto lì seduto da solo sullo scoglio, avevano saputo della sua storia, e quando i loro figli erano inquieti, allora essi raccontavano loro del buon figliolo che, per amore dei suoi genitori, aveva rinunciato allo splendore e alle meraviglie del palazzo del mare, e alla più splendida donna mai vista sulla terra.