Una fiaba al giorno toglie la noia di torno

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Ecco a voi una bellissima fiaba peruviana!

CoquenaChango conduceva al pascolo le capre. In verità erano poche, solamente cinque, ma lui le chiamava “il mio gregge”. Dedicava loro tutto il suo tempo, come se fossero chissà quante, andando in cerca di pascoli erbosi e d’acqua limpida. Gli altri pastori della zona, vedendo di quanto amore circondava le sue caprette, si burlavano di lui, così per divertirsi:
– Attento al gregge, Chango!
– Non ti sbagliare a contarle!
– Sei certo che ci sono tutte? – Chango rispondeva sempre sorridendo:
-Cinque sono più di una e una è più di nessuna…
I pastori che possedevano greggi numerose un giorno gli dissero:
– Perché non vai dall’altra parte della grande montagna? C’è un fiume limpido e tanta erba tenera, tenerissima.
– E in quantità enorme. Cosi le tue caprette potranno finalmente saziarsi tutte quante…
– E voi perché non ci andate? – rispose Chango.
– Veramente è un po’ lontano…
– E il viaggio è pericoloso-soggiunse un altro.
– Io ci vado – disse Chango felice.
– Per cinque capre? Sei matto!
– Sì, sì, ci vado. Qui il pascolo è magro e le poverine diventano sempre più deboli.
E se ne andò canticchiando con le sue caprette, alla ricerca di pascoli teneri. Sempre più ripidi si facevano i fianchi della montagna, a misura che saliva e le rocce, sempre più spoglie e dure. Dopo aver camminato tanto per sentieri desolati e strettoie pericolose, giunse nella valle. Rimase sbalordito: un pascolo così bello non l’aveva visto mai. C’era mai stato nessuno?
– Eppure è così grande! — esclamò — e verde! Qui potrebbero pascolare moltissime capre!… Devo dire agli altri di venire.
Le capre giocavano nell’erba dando salti come fossero ammattite e mangiavano a sazietà.
Chango, seduto per terra, le guardava soddisfatto:
– Come son belle!… Quando la Moretta avrà un capretto, saranno sei, e sei capre sono più di cinque, e poi anche la Pezzata ne avrà uno e allora saranno sette, e sette capre sono più di sei… e poi… Chango accarezzava questi pensieri, quando si accorse che stava facendo notte.
– Bene, golosone! è già tempo di tornare a casa. Andiamo!
Molte nubi coprirono il cielo e si fece subito buio. Dapprima caddero alcuni goccioloni poi si scatenò la tormenta. Il vento soffiava così forte che bisognava afferrarsi alle rocce per non essere portati via. Veniva giù la pioggia a catinelle, a torrenti. Il tuono assordante spaventava le capre che si sbandavano per ogni dove. Chango le chiamava gridando, ma erano così spaventate.., forse non udivano nemmeno la sua voce.
A fatica, una dopo l’altra, riuscì finalmente a raggrupparle. Le condusse in un rifugio sicuro, tra le rocce, in attesa che dileguasse la tormenta. Ma quando le contò si accorse che ne mancava una.
– La Morettal – gridò. E uscì di nuovo all’aperto, sotto la pioggia. Forse era caduta in un burrone.
– Moretta! Morettina!
Dall’alto del sentiero vide là in basso, nella vallata verde, un gregge innumerevole di lama. Mai ne aveva visti tanti insieme. Continuavano il loro cammino ordinati, tranquilli, come se qualcuno li guidasse, e salivano, salivano. Sembrava non ci fosse nessun pastore…
– Deve essere Coquena — penso — il dio nano che li conduce. Solo lui ha il potere di rendersi invisibile.
– Coquena! Coquenal Per favore aiutami! — E si mise a correre verso il gregge.
– Coquenal Coquena! – I lama erano spariti dietro il sentiero e si vedeva solo la valle, già quasi al buio, che s’illuminava a tratti per il bagliore improvviso dei fulmini. Notò qualcosa di strano disteso sulle pietre.
– Morettina! — esclamò con gioia. — La mia Morettina!
Ma quando si chinò si accorse che non era la sua capra, era un lama piccolino e, a quanto sembrava, ferito.
– Dev’essere del gregge – pensò e l’accarezzava.
– Poverino! Non aver paura. Mi prenderò cura di te. Ma tu stai tremando, e il mio poncho è così fradicio. Ti condurrò dalle capre. Quando sarai guarito ritornerai al tuo gregge.
Gli parlava con tenerezza ma, come si chinò per alzarlo, invece del piccolo lama si trovò davanti lo stesso Coquena. Chango non riuscì a spiccicare una sola parola. Allora parlò Coquena:
– Sei buono, piccolo Chango, molto buono. Dimmi ciò che desideri. Vuoi oro? Vuoi argento?
un gregge immenso che copra tutta la vallata?
– Ti ringrazio, Coquena. Non voglio niente di tutto ciò. Però, ti scongiuro, aiutami a trovare la mia Morettina.
Al dio nano luccicavano gli occhi di contentezza e, indicando con la sua mano di lana verso nord, disse:
– Cammina fin dove termina il sentiero, gira a sinistra e troverai una grotta. Tutto ciò che vedrai vicino alla tua capra sarà tuo. Questa è la volontà di Coquena.
E sparì. Nella grotta Chango trovò la Morettina e vicino e lei una borsa enorme piena di monete d’oro e d’argento.
Quando riprese il cammino verso casa con le sue cinque capre cominciava appena ad albeggiare. La pioggia era cessata. Ogni tanto lui si voltava, e lassù, in lontananza, gli sembrava di vedere ancora le schiene vellutate dei lama di Coquena che camminavano in fila contro il cielo.


Ecco a voi una fiaba direttamente dal Brasile.
sfondo-desktop-pappagallo-514Un tempo, il pappagallo non era come oggi, e gli Indios Guaranì lo chiamavano Curimim, che vuol dire bambino.
Ogni giorno, Curimim se ne andava a caccia nella foresta insieme a suo padre, armato di arco e di frecce che si fabbricava da solo, utilizzando il legno degli alberi della grande foresta.
Qualche volta, poi, andavano a pescare nei fiumi che scorrono nella foresta, e Curimim, che era piccolo, prendeva pesci piccoli, mentre suo padre, che era grosso, prendeva pesci grossi come i dorados o i pacus.
Quando tornavano alla loro casa di legno e paglia, arrostivano il pesce sulla brace e tutta la tribù mangiava riunita. Se c’era molto, mangiavano molto, e se c’era poco, mangiavano poco: ma tutto era sempre diviso in parti uguali. Curimim, però era terribilmente goloso, e cercava sempre di mangiare più degli altri. Fu per questo, dicono, che diventò un pappagallo.
Un giorno, come sempre, Curimim andò a pescare con suo padre, mentre sua madre coglieva frutta nella foresta. A lui la frutta piaceva moltissimo, e qualche volta aiutava la mamma a riempire la cesta, perché sapeva arrampicarsi sugli alberi come nessun altro.
Quel giorno sua madre era proprio contenta perché aveva trovato un bel po’ di frutta, e appena tornò a casa la mise ad arrostire sulla brace.
Curimim, che camminava davanti a suo padre, tornò indietro di corsa perché aveva sentito il buon profumo della frutta arrostita, e cominciò a mangiarla senza nemmeno chiedere il permesso.
Ma, a furia di ingozzarsi, la polpa, bollente gli andò di traverso e Curimim si mise a tossire sempre più forte, finché la sua tosse diventò un rauco “Cra-cra”. La frutta gli era rimasta incastrata in gola, e Curimirn cominciò a storcere la bocca, che si trasformò in becco, e ad allungare il collo, che gli si ingrossò come il gozzo di un uccello.
E, finalmente, quando il boccone andò giù, a Curimim venne un tremendo prurito:
tutto il suo corpo si stava coprendo di penne verdi e di altri vivaci colori! Poi si sentì leggero leggero, alzò le braccia, che erano diventate ali, e scoprì che poteva volare. Curimim era diventato un pappagallo.
Allora, aprì le ali colorate e andò a posarsi in cima ad un albero, facendo cra-cra con la sua nuova voce rauca.
Qualcuno, però, dice di averlò visto tornare giù e ridiventare un piccolo Indio. Ma questa è un’altra storia…